GÜIGÜE 1918

(a Juan Liscano)

Questa è la terra dei miei, che dormono, che non dormono,
lunga valle di canne di fronte a un lago,
con campane ricoperte di secoli e di polvere
che ripetono di notte i galli fantasmi.
Sono a vent'anni dalla mia vita,
non nascerò adesso che c'è la peste nel villaggio,
i carretti sono carichi di corpi e partono;
sono poche le fosse aperte;
le campane, stanche di suonare,
scendono e scavano.
Posso attendere, nascerò molto lontano da questo lago,
dai suoi miasmi;
mio padre partirà con i sopravvissuti,
lo aspetterò più avanti.
Adesso sono questa luce che dorme, che non dorme;
spio dai fori nei muri;
i cavalli sprofondano nel fango e proseguono;
osservo l'inchiostro che annota i nomi,
la calligrafia selvaggia che imita i pascoli.
La peste passerà. I libri nel tempo giallo
verranno dietro le foglie degli alberi.
Avverto il tremore delle fiamme delle candele
mentre le processioni percorrono le strade.
Non nascerò qui,
ci sono croci di aloè sulle porte
che non vogliono che io nasca;
resta molto dolore nelle case di argilla.
Posso attendere, sono a vent'anni dalla mia vita,
sono il futuro che dorme, che non dorme;
la peste mi priverà di voci che sono mie,
dovrò reinventare ogni gesto, ogni parola.
Adesso sono questa luce nel fondo dei loro occhi;
nascerò dopo, porto scritta la mia data;
sono qui con loro fino a quando non se ne andranno;
senza che possano guardarmi mi fermo:
voglio chiudere dolcemente i loro occhi.

(Da Territudine, 1978- Traduzione per Luca Rosi)

  • Utente:
    gustavocordobah
  • Autore:
    EUGENIO MONTEJO
  • Data:
    17/06/2008 16:20:45
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